formato 12×20 / pag. 330 / € 18,00 ◼︎ Da La Repubblica / Cultura … Sulle orme di Luis Sepúlveda, ma con il piglio del cronista indagatore. Tra gli indios Shuar dell’Ecuador, il grande scrittore cileno trascorse sette mesi con una missione Unesco per studiare l’impatto della colonizzazione su queste popolazioni: un’esperienza dalla quale nacque uno dei suoi libri più amati, Il vecchio che leggeva romanzi d’amore pubblicato nel 1989. Ora, a oltre trent’anni di distanza, con Shuar, cacciatori di teste (330 pagine), Antonello Zappadu, fotoreporter di razza, si immerge nuovamente in quel mondo con un racconto intenso e drammatico che è insieme un romanzo ma anche la storia fedele di un fatto (cambiano solo i nomi dei protagonisti) realmente accaduto nell’agosto del 2006: la scomparsa nella giungla ecuadoriana di due ragazzi italiani – Denis Tronchin ed Emiliano Eva, i veri nomi – ritrovati morti alcuni mesi più tardi. Avevano partecipato a un rito sciamanico organizzato proprio da un gruppo di Shuar, con l’ingestione di un potente allucinogeno, l’ayahuasca.
Sulla vicenda indagano il capo della polizia e la procura locale, e la conclusione sembra essere che il decesso sia avvenuto proprio come conseguenza di questo rito ancestrale. Ma i punti oscuri sono tanti, e per chiarirli entra in scena il fotogiornalista, che già da anni aveva dimestichezza con quei luoghi: il primo viaggio di Zappadu tra gli Shuar – partenza dalla sua Sardegna, dove poi fa diverse incursioni, nelle pagine del libro, per evocare inchieste e scoop giornalistici, dal sequestro di Farouk Kassam alle feste berlusconiane di Villa Certosa – risale al 1988, quando arrivò nella selva amazzonica spinto dalla curiosità per un altro evento tragico che aveva fatto molto discutere: l’uccisione di due religiosi spagnoli, monsignor Labaca e suor Inés Arango, da parte degli indios Aucas. Tornato in Ecuador pochi mesi dopo la scomparsa dei due ragazzi italiani, Zappadu scopre una verità alternativa a quella ufficiale, che già tendeva ad archiviare la vicenda con l’ipotesi di overdose da ayahuasca (caso rarissimo per un allucinogeno che quasi mai si rivela mortale). Così emerge una realtà inquietante fatta di depistaggi, di omicidi, di persone sparite e mai ritrovate, di traffico d’organi: il vecchio rito tribale delle tzantza (teste umane miniaturizzate a scopo apotropaico, per scacciare influssi maligni) trasformato in un business da trafficanti senza scrupoli, spesso americani, che le commissionano e ne ricavano lauti guadagni vendendole nel circuito dei musei naturali. In più, nella vicenda di Tronchin ed Eva, si inserisce il ruolo di altri sei italiani (incriminati ma mai processati) che parteciparono allo stesso rito sciamanico, per poi abbandonare l’Ecuador in tutta fretta. Uno di loro avrebbe indotto i ragazzi a provare un intruglio in cui la ayahuasca era mescolata con un altro potente allucinogeno, provocando un effetto potenzialmente mortale. Gli altri non fecero niente per dissuaderli, forse per stupide gelosie e antipatie personali.
Il racconto di Zappadu è la vicenda esposta in modo romanzato ma con una cura meticolosa per i particolari e con un’attenzione speciale alla cultura e alle tradizioni delle popolazioni indigene, frutto della sua lunga passione per l’America Latina – ereditata dal padre Mario, giornalista Rai, che alla fine della Seconda guerra mondiale si trasferì in Argentina per una corrispondenza con il Giornale d’Italia – sfociata anche in reportage e libri sulla produzione e il traffico della cocaina in Colombia.
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