La falconeria è una pratica venatoria che si basa sull’uso di falchi o altri uccelli rapaci per catturare prede, solitamente altriuccelli. Come altre tipologie di caccia, anche questa è oggi praticata come hobby più che per il procacciamento del cibo necessario al sostentamento del praticante. Solo negli ultimi decenni sta trovando un ottimo sviluppo, come sport, fondamentalmente in Europa ed in Nord America. Detto sviluppo ha portato alla genesi di una nuova forma di tale pratica, laguferia, incentrata sull’uso di rapaci notturni (fond. gufi).
Nel 2010, la falconeria è stata riconosciuto dall’UNESCO come Patrimonio orale e immateriale dell’umanità dei seguenti paesi:Arabia saudita ed Emirati Arabi Uniti, Belgio, Francia, Corea del Sud, Mongolia, Marocco, Qatar, Repubblica ceca, Spagna,Siria[1].
Origini [modifica]
L’esatto momento di genesi della falconeria ed il suo originale centro di promanazione, se di un solo centro si trattò, sono ad oggi argomento di dibattito. Dato certo è che la pratica di servirsi degli uccelli rapaci per predare altri volatili e mammiferi di taglia medio-piccola sviluppò prima in Oriente che in Occidente.
Le prime evidenze relative alla falconeria si collocano in ambiente medio-orientale. Riferimenti alla pratica venatoria aviaria si trovano già nell’Epopea di Gilgamesh, testo fondamentale della mitologia mesopotamica prodotto dalla civiltà dei Sumeri. Del pari, testimonianze archeologiche hanno confermato il ricorso alla falconeria degli Assiri. Negli scavi del palazzo di Sargon II aKhorsabad (VIII secolo a.C.) è stato rinvenuto un bassorilievo assiro raffigurante due cacciatori, l’uno impegnato ad abbattere dei rapaci con l’arco, l’altro intento invece a catturarne uno incolume, presumibilmente per destinarlo all’addomesticamento. Già l’archeologo Austen Henry Layard (1817-1894) aveva parlato di falconieri raffigurati nei bassorilievi delle rovine di Ninive[2].
Nel corso del VII secolo a.C. la falconeria era già diffusa nell’Estremo Oriente. Pratica consueta tra le popolazioni nomadidell’etnia mongoloide, presso le quali il falco e l’aquila avevano un fortissimo significato simbolico, viene ricordata da fonti dell’Antica Cina già nel 680 a.C.. Dalla Cina, la falconeria si diffuse in Korea e in Giappone. Secondo il Nihongi però, solo nel IV secolo, durante il regno dell’imperatore Nintoku, si può attestare una massiccia diffusione della pratica venatoria aviaria nel Sol Levante, poi codificata come “arte” chiamata Takagari (鷹狩).
Non siamo oggi nelle condizioni di poter affermare con certezza che la pratica della falconeria fosse diffuso nell’Antica Roma, seppur i rapaci avessero un ruolo predominante nella simbologia e nella mitologia romana quanto greca: basti pensare all’aquila intesa come simbolo di Zeus/Giove ed il ricorrere del medesimo uccello quale stemma distintivo della legione romana.
La pratica della caccia con i rapaci raggiunse l’Europa grazie ai barbari.
I Germani, con buona probabilità, i rudimenti della falconeria delle popolazioni della steppa asiatica. Fondamentale, in questo senso, la parte giocata dai Goti, etnia germanica dominante nell’Europa Orientale intorno al III secolo, che, nelle terre gravitanti intorno al Mar Nero, appresero dai nomadi Sarmati la pratica della caccia con il falco tanto quanto quella della cavalleria. Il successivo scontro dei Goti con gli Unni di Balamber (Battaglia del fiume Erac – 375) ed il loro assoggettamento all’impero nomade di Rugila ed Attila (434-453) intensificò certamente l’adozione, da parte dei germani sconfitti, di usi e costumi asiatici quali la falconeria. Dai Goti, la pratica venatoria con i rapaci passò alle altre popolazioni germaniche e si diffuse nei domini romani, ormai dipendenti dai barbari per quanto riguarda il mantenimento di efficienti forze armate. Avito, imperatore romano nel biennio 455-456, nato presso i celti Arverni delle Gallie, avrebbe appreso proprio dai Goti, con i quali aveva combattuti gli Unni nella Battaglia di Chalons, la pratica della falconeria e l’avrebbe poi introdotta nell’impero. Ad oggi, l’unica testimonianza archeologica pervenutaci della pratica venatoria aviaria presso i romani data al 500 circa: un mosaico romano raffigurante un cacciatore con un falco che preda anatre rinvenuto nella ribattezzata “Villa del Falconiere” di Argos (Grecia).
Medioevo [modifica]
Fu durante il Medioevo che la falconeria si diffuse sul suolo europeo, raggiungendo interessantissimi sviluppi.
Un input notevole a questa diffusione provenne nuovamente dall’arrivo in Europa di popolazioni latrici della pratica venatoria aviaria. La formazione dell’Impero arabo-musulmano costituì, sulla sponda meridionale del Mediterraneo, una solida compagine statale che contribuì a diffondere usi e costumi appresi dagli Arabi grazie alla Persia dei Sasanidi. Fu infatti proprio in concomitanza con l’aggressione musulmana in Europa (Conquista islamica della penisola iberica e Guerre bizantino-arabe in Sicilia), nell’VIII secolo, che la pratica della falconeria, dopo i torbidi dell’Età Tardo Antica, iniziò a fiorire nel Vicino Orienteconteso tra Arabi e Bizantini, gettando le basi per quella solida tradizione che avrebbe portato gli studiosi occidentali del XIX secolo a guardare con stupore e ammirazione all’incredibile empatia tra il beduino e il suo falco[3].
A partire dal VII-VIII secolo, la falconeria radicò capillarmente nelle diverse compagini statali che andavano lentamente formandosi nelle terre del vecchio impero dei Romani. Tale “diaspora” dell’arte venatoria aviaria, sempre inquadrabile quale privilegio della classe guerriera dominante, i milites, più per questioni di disponibilità finanziaria necessaria alla cura, all’addestramento ed all’allevamento domestico dei rapaci, viene ben testimoniata dalle fonti, via via più numerose, dell’epoca:
▪ Carlo Magno (742-814), fondatore del Sacro Romano Impero, ha spesso citato la falconeria nei capitolari con i quali ha portato ordine nelle terre del suo impero. Dato ancor più significativo, l’imperatore proibì la caccia, tanto con i cani quanto con astòri e falconi, ai chierici[4], dandoci così un dato concreto su quanto l’uso dei rapaci fosse diffuso, ormai non solo con scopo alimentare ma con chiaro intento ludico, nelle alte classi sociali dell’Alto Medioevo.
▪ Enrico I di Germania (876–936) era noto come “Enrico l’Uccellatore” (Heinrich der Finkler) per la sua passione di cacciare col falcone;
▪ Nel frammento antico inglese noto come The Battle of Maldon, il comandante dei Sassoni-Inglesi alla Battaglia di Maldon(991), conte Byrhtnoth, libera il suo falcone preferito prima del fatale scontro con i vichinghi di Olaf I di Norvegia;
Il massiccio intensificarsi degli scambi tra l’Europa cristiana e l’Oriente arabo-bizantino nel XI-XII secolo provocato dal movimento socio-politico delle Crociate contribuì ulteriormente a diffondere e sviluppare la pratica della falconeria presso imilites occidentali. Un ruolo importante, in questo senso, venne giocato dall’ordine monastico-militare dei Cavalieri Ospitalieri, specialisti della caccia con i rapaci poiché le altre forme di caccia erano loro interdette come penitenza volontaria (là dove per iCavalieri Templari valeva esattamente l’opposto e cioè era la falconeria ad essere interdetta).
Entro il XIII secolo la falconeria era divenuta un aspetto fondamentale della vita sociale del nobile europeo. Non un semplice diletto ma una vera e propria scienza, che venne formalmente codificata attraverso una prolifica produzione letteraria:
▪ Il multietnico ambiente normanno-svevo del Regno di Sicilia giocò un ruolo centrale nella storia della falconeria, fondamentalmente grazie all’imperatore Federico II (regno 1198-1250), uomo colto ed amante delle lettere nonché sfegatato fautore della caccia con il rapace al punto di fare di un falco il suo stesso stemma araldico[5]. Falconiere di corte di Federico II fu il cavaliere tedesco Guicennas, autore di un manuale, De arte bersandi, sulla caccia e sulla falconeria. Per ordine dell’imperatore, lo studioso Teodoro di Antiochia tradusse il cosiddetto Moamyn latino (De scientia venandi per aves), probabile opera dell’erudito arabo Abū Zayd Ḥunayn ibn Isḥāq al-ʿIbādī (809-873), medico del califfo abbaside al-Mutawakkil[6]. La redazione, da parte dello stesso Federico II, dell’opera in sei volumi De arte venandi cum avibus, poi messa per iscritto dal figlio Manfredi di Sicilia, costituì lo zenith di questo fenomeno socio-culturale. Si trattò di una vera e propria opera omnia, analizzante i sistemi di allevamento, addestramento e impiego di uccelli rapaci (fond. falchi) nella caccia soprattutto ad altri uccelli, tutti accuratamente descritti nell’opera, che riprese ed ampliò il volume di Guicennas e del Maestro Teodoro.
▪ Altra realtà multietnica sensibile alle sollecitazioni culturali orientali promotrice della falconeria si rivelò la Penisola Iberica, interessata in quegli anni dai più importanti risultati della Reconquista. Alfonso X di Castiglia (regno 1252-1284), grande promotore delle arti e delle lettere, aveva già nel 1250 concluso una seconda versione del Moamyn circolante presso la corte federiciana. Successivamente, curò la redazione di un importante trattato sulla caccia con i rapaci, il Libro de los animales que caçan.
▪ Anche il Regno d’Ungheria, situato al margine della steppa eurasiatica e costituito da un’etnia di provenienza orientale, imagiari, dominante sul locale elemento slavo europeo, lasciò ampia testimonianza della capillare diffusione di cui ivi godeva la pratica della caccia con i rapaci. Nel 1222 la nobiltà costrinse il sovrano Andrea II a sottoscrivere una Bolla d’Oro nella quale rinunciava a molte delle sue prerogative: tra le varie clausole, spiccò la proibizione per i falconieri reali di portare i rapaci a caccia in territori non appartenenti alla corona, a riprova non solo della diffusione della pratica venatoria aviaria presso i magiari ma del notevole grado di impunità che i praticanti affiliati alla casa del sovrano erano arrivati a godere. Il successivo sovrano ungherese, Bela IV, appassionato falconiere, si fece ritrarre sulla monetazione nazionale a cavallo, con un falco sul braccio. Nel 1279, tra le norme disciplinari per i religiosi redatte in occasione del Concilio di Buda, figurava la proibizione, per i monaci di praticare la falconeria.
▪ Il Regno di Francia fu tra i primi ad istituire la figura ufficiale del “Falconiere Reale”: il primo Gran falconiere di Francia, attivo alla corte di Luigi IX (regno 1226-1270), fu tale Jean de Beaune.
Da un punto di vista “pratico”, notevole input allo sviluppo della falconeria, nel Duecento, fu l’introduzione sul suolo europeo del cappuccio per il rapace, lo chaperon, importato dal Vicino Oriente grazie ai sempre più massicci scambi con i bizantini ora dominati dagli occidentali grazie alla nuova compagine statale sorta in Grecia dopo il Sacco di Costantinopoli (1204), l’Impero Latino (1204-1261).
Contemporaneamente al Medioevo europeo, anche le compagini statali asiatiche erano state interessate da un sistematico diffondersi, tra la classe dominante, della passione per la caccia con il falco. Nel 818, l’imperatore giapponese Saga aveva ordinato la redazione del trattato di falconeria Shinshuu Youkyou. In Cina, l’affermarsi dell’Impero mongolo di Gengiz Khan(1206-1227), poi estesosi a tutto il continente eurasiatico sino alla Russia Bianca ed all’Ungheria, diffuse largamente la falconeria, passatempo prediletto dei conquistatori Mongoli[7].
Quando, nel corso del XIV secolo, l’Europa e l’Asia tornarono ad instaurare reciproci scambi commerciali, le élite dei regni europei e quelle del Celeste Impero erano certamente accomunate dalla passione per la caccia con i rapaci.
Nel corso del XV secolo, nel più generale contesto di una società europea ove la nobiltà difendeva in modo sempre più classista e xenofobo i suoi privilegi contro un patriziato urbano di banchieri e ricchi commercianti, la falconeria venne fatta oggetto di particolarissime misure restrittive e di controllo. Un preziosissimo documento inglese dell’epoca, Il “Libro di St Albans” (The Book of Saint Albans – 1486), fissa non solo regole d’uso ma, cosa ben più importante, di possesso per i rapaci. Il testo stabilisce che la povera gente, i vecchi laboratores, possano al massimo possedere un falco di piccole dimensioni (laservitù poteva al massimo aspirare ad un gheppio), là dove lo scudiero era autorizzato a portare il Falco lanario ed il cavaliere il grande Falco cherrug, facendo così dei rapaci più pregiati un’esclusiva dei regnanti: il girifalco per un Re e l’aquila per l’Imperatore.
Età Moderna [modifica]
Presso le corti sempre più mondane e raffinate del Rinascimento, amanti del lusso e fautrici di un approccio epicureo alla vita, la falconeria, intesa ormai come pratica già quasi sportiva, non più legata a motivazioni di sostentamento, oltre che come esercizio di un’arte, ebbe larga diffusione.
Tra i tanti regni, primeggiava ancora il Regno d’Ungheria, i cui rapaci e falconieri divennero famosi in tutta Europa, dai Paesi Bassi al Mediterraneo, guadagnandosi le attenzioni dei sovrani cristiani occidentali tanto quanto del sultano dei Turchi ottomani, subentrati ai bizantini nel controllo dell’Anatolia e dei Balcani ed, a loro volta, sfegatati amanti della caccia con il falco come tutte le altre popolazioni nomadi della steppa eurasiatica. Presso i magiari, la caccia a cavallo con i rapaci era pratica già diffusa anche tra le nobildonne. Non a caso, tra le opere di Bálint Balassi (1554-1594), poeta padre della moderna letteratura ungherese, compare anche un’operetta dedicata al suo falco.
Noti falconieri restarono i Cavalieri Ospitalieri, divenuti Cavalieri di Malta nel 1530, che proprio con un falcone maltese (Falco peregrinus brookei) pagavano al Viceré di Sicilia il tributo annuo per la permanenza nell’isola omonima[8].
In Europa, la falconeria toccò il suo apogeo nel XVII secolo, presso le corti sovrane dell’assolutismo nella sua piena affermazione. In quel contesto socio-politico, cioè, ove il Re, primo tra i nobili, dettava le mode in materia di usi e costumi. Privilegio esclusivo della nobiltà, la caccia con i rapaci aveva ora, in ogni reame, quale suo metro di paragone “nazionale”, la Falconeria Reale:
▪ Nel Regno di Francia, Luigi XIII contava, nella sua voliera di falchi, 300 esemplari divisi in sei squadre specializzate in diverse tipologie di prede: airone, pernice, cornacchia ecc. Il sovrano era poi solito tenere presso di sé, anche in tempo di guerra, dieci rapaci “scelti”, alloggiati presso il Cabinet d’Apollon al Louvre di Parigi, gli Oiseaux du Cabinet du Roi (lett. “Uccelli da gabinetto”)[9]. La Falconeria Reale venne poi spostata da Luigi XIV di Francia a Montainville (Yvelines), presso la nuova reggia di Versailles[10].
▪ Nell’Impero Russo, lo zar Alessio I (regno 1645-1676), grande appassionato di falconeria e noto come uomo pio e riflessivo, redasse un trattato sulla pratica venatoria aviaria, esaltandone il valore ascetico-catarchico. La storiografia contemporanea dispone anche di istruzioni, redatte dal monarca, per i falconieri di corte.[11]
▪ Gli Asburgo d’Austria, signori delle terre dei magiari settentrionali (“Ungheria Reale”) dal 1526, svilupparono una grande passione per la pratica venatoria aviaria. La Falconeria Reale era collocata presso i fastosi Castelli di Laxenburg.
▪ Tra gli Asburgo di Spagna brillò in quegli anni, sia in positivo che in negativo, la figura del sovrano Filippo IV (regno1621-1665), passato ai posteri come un grandissimo appassionato di caccia, sia con l’innovativo moschetto che con lalancia da cinghiale o il falcone. Appassionato di falconeria, quanto meno sulla carta, era anche il suo plenipotenziarioOlivares che, in realtà, sfruttava il preteso di una passeggiata a caccia con il falco per appartarsi a complottare con cortigiani ed ambasciatori stranieri[12]. Già all’inizio del secolo la letteratura spagnola aveva versato il suo tributo all’antica arte della falconeria con la quarta edizione del capolavoro di Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, stampato aMadrid nel 1605 con un frontespizio sul quale figurava un falcone incappucciato poggiato sul braccio di un uomo.
▪ Nell’Inghilterra degli Stuart, nonostante i torbidi politici e la precaria posizione della famiglia reale, la falconeria fu assiduamente pratica, quasi osannata dai sovrani quanto dalla nobiltà grande e piccola[13]. Giacomo I Stuart s’innamorò della falconeria sin da fanciullo, quando cacciava con lo sparviere; promosse largamente la Falconeria Reale, intrattenette la corte ed i suoi ospiti stranieri con battute di caccia con i falconi[14] e profuse denari e risorse nella ricerca di pregiati rapaci[15]. La passione di Giacomo passò all’erede Carlo, ferito da una pernice durante una battuta di caccia con il falcone[16], fanatico al punto da pretendere che il suo Lord Deputy in terra d’Irlanda si preoccupasse, oltre che della delicata situazione politica, anche di procurargli esemplari di rapaci locali[17]. Dall’ossessione degli Stuart per falchi e falconi non furono esenti nemmeno Carlo II e Giacomo II, tanto appassionati da non volersi privare della compagnia del provetto falconiere William Russell per le battute con i rapaci ad Hampton Court (marzo 1683) nonostante il ruolo giocato dallo stesso nella Guerra civile inglese che era costata la testa a loro padre[18]. Sempre Carlo II aveva acconto nel 1662l’ambasciatore dello zar Alessio I con una processione di venticinque cavalieri tutti muniti di falcone[19]. Al volgere del secolo, la corona inglese spendeva ogni anno 1500 sterline per il Gran Falconiere d’Inghilterra, 335 sterline per il Maestro dei Falchi e 136 sterline per il Sergente dei Falchi[20].
▪ Nelle terre d’Olanda, produttrici di falconieri e rapaci apprezzati in tutta Europa, la cittadina di Valkenswaard, nel Brabante Settentrionale, dipendeva unicamente dalla falconeria per il suo sostentamento.
Dopo i fasti del Seicento, la falconeria europea cadde sistematicamente nell’oblio durante il XVIII secolo, soppiantata dall’ormai imperante uso delle armi da fuoco poiché, differentemente dalle altre forme di caccia, entro le quali il fucile andava a costituirsi solo quale alternativa all’arma bianca, nella pratica venatoria con i rapaci il proiettile andava a sostituire il falcone medesimo.
La Rivoluzione Francese sferrò un colpo simbolico potentissimo alla falconeria, abolendo la Falconeria Reale, liberalizzando la pratica della caccia e relegando l’uso dei rapaci ad un memento delle pratiche “gotiche” medievali.
In Giappone, la natura elitaria della falconeria ne fece uno dei passatempi prediletti della casta guerriera dominante, i bushi, durante l’Epoca Sengoku (1478-1605). Pare si debba attribuire ad uno dei signore della guerra dell’epoca, Asakura Norikage, il primo caso di allevamento in cattività dell’astòre nel Sol Levante. Successivamente, lo Shogunato dei Tokugawa, durante il Periodo Edo (1603-1868), codificò e promosse la falconeria tradizionale nipponica quale strumento di ostentazione dello status e del potere delle classi dominanti.
Età contemporanea [modifica]
La falconeria era ancora blandamente praticata in Europa nel corso del XIX secolo, ormai ridotta ad un semplice hobby. La pratica venne riscoperta nella seconda metà dell’Ottocento, in concomitanza col gothic revival innescato dal Romanticismo, passando poi più o meno incolume attraverso di due conflitti mondiali sino ai giorni nostri.
▪ In Francia già Napoleone, certamente non ricordato quale un vero appassionato di caccia, aveva comunque cercato di mantenere viva, per questioni di prestigio culturale, l’antica pratica della falconeria. I regolamenti di polizia del regno post-Restaurazione (1844) non menzionano però in alcun modo l’uso dei rapaci nella caccia, a riprova di una diffusione “pubblicamente” pressoché inesistente della falconeria. Durante il Secondo Impero Francese, Napoleone III cercò, come il nonno, di promuovere quanto meno una diffusione a livello hobbistico della falconeria, riconoscendo al Club de Champagne il diritto di “lanciare” rapaci nei campi intorno aChâlons.
▪ In Gran Bretagna, lo Old Hawking Club of Great Britain venne fondato nel 1864.
Fu sempre durante l’Ottocento, concomitantemente alla formazione dei grandi imperi coloniali delle potenze europee, che la pratica della falconeria si diffuse in quei paesi ove non aveva avuto un suo sviluppo autonomo. I britannici diffusero la pratica della caccia con i rapaci tanto in Australia e Tasmania quanto in Sudafrica. Nel contempo, la sempre più libera circolazione di uomini, mezzi e materiali, garantì il formarsi di un’utenza di falconieri anche negli Stati Uniti d’America, ove la presenza di particolari specie autoctone di rapaci (fond. Falco di Harris e Falco della prateria) contribuì ad una significativa evoluzione rispetto al tradizionale bagaglio tecnico della falconeria europea.
In Giappone, uno degli effetti del Rinnovamento Meiji (1868-1912) fu l’apertura al pubblico del takagari, l’arte della falconeria nipponica, passata in gestione all’Agenzia Imperiale degli Affari Interni (Kunai-chō). L’operazine, volta a garantire una maggior diffusione alla pratica venatoria aviaria, intesa come patrimonio culturale del Sol Levante, non sortì però gli effetti voluti. Pare, addirittura, che taluni “segreti” del takagari siano andati persi proprio durante il XIX secolo.
Le capacità venatorie dei rapaci sono oggi utilizzate non solo a fini hobbistici o nei revival di caccia medievale. Molti problemi legati alla coabitazione tra esseri umani e volativi, nelle grandi città, sono stati risolti ritornando ad allevare falchi, astori e poiane per poi liberarli contro una ben specifica preda. I rapaci vengono dunque usati non solo in parate o manifestazioni ma anche per allontanare uccelli, come i colombi, presenti in gran quantità nei pressi dei monumenti o per allontanare stormi di uccelli (come gli storni o le oche) negli aeroporti od ancora per mandare via i gabbiani dalle discariche. Nei centri storici, ultimamente, proprio perché si ha bisogno di una presenza costante di uccelli che allontanino i piccioni si è deciso di liberare e riprodurre in cattività anche uccelli rapaci che predino questi ultimi.
Nel 1968, le associazioni nazionali di falconeria sorte un po’ ovunque nel mondo sono confluite nella International Association for Falconry and Conservation of Birds of Prey (IAF), un organo di promozione e coordinamento sovranazionale efficacemente attivo da ormai oltre trent’anni. Oggigiorno, l’IAF riunisce 45 associazioni da 38 paesi, con un totale di oltre 8000 iscritti che si ritrovano annualmente per praticare insieme[21].
Nel 2010, la falconeria è stata riconosciuto dall’UNESCO come Patrimonio orale e immateriale dell’umanità dei seguenti paesi: Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti,Belgio, Francia, Corea del Sud, Mongolia, Marocco, Qatar, Repubblica ceca, Spagna, Siria[1].
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